Stato, mercato e idee confuse - Corriere della Sera
LE REGOLE CHE MANCANO
Stato, mercato e idee confuse
di Michele SalvatiNon vorrei che la crisi finanziaria in corso negli Stati Uniti e l'affannoso intervento pubblico che sta provocando in quel Paese alimentassero nel nostro un clima di «più Stato» altrettanto superficiale — ma gravido di conseguenze politiche — del clima di «più mercato» che dominava fino a un anno fa: condivido la preoccupazione espressa da Mario Monti nel suo editoriale di domenica scorsa.
È vero, il Tesoro americano sta impiegando risorse immense per attenuare le conseguenze della crisi. Ma si tratta di una risposta d'emergenza: il problema all'origine delle difficoltà attuali non è di quelli che si risolvono buttandogli quattrini (pubblici) addosso. È un problema di insufficiente e cattiva regolazione dei mercati, dal quale consegue un rischio di instabilità finanziaria, una elevata probabilità di crollo dell'immane piramide di debiti e crediti che si è lasciata costruire negli ultimi anni su basi insicure. Un rischio di cui le autorità statunitensi erano consapevoli — una parte dei tanto vituperati economisti non si è mai stancata di richiamarlo — ma sul quale non sono intervenute in tempo. Un po' perché, quando le cose andavano bene, ci guadagnavano tutti e occorreva grande forza politica per spegnere l'«esuberanza », anche se «irrazionale». Ma soprattutto perché quelli che ci guadagnavano di più (molto di più) disponevano di grande influenza presso le autorità preposte alla regolazione.
Se gli interventi di emergenza risulteranno efficaci e poi, e soprattutto, in che tempi le autorità riusciranno a costruire un assetto regolatorio e di vigilanza capace di restituire ai mercati finanziari la fiducia di cui hanno bisogno, non è possibile prevedere. Ci riusciranno, certamente, ma dopo aver fatto pagare costi altissimi in termini di benessere agli Stati Uniti e al mondo intero. Vorrei solo sottolineare che parlare in modo generico di «più Stato» per quanto sta avvenendo in America confonde solo le idee. Essenzialmente si tratta di un fallimento della politica, una politica inquinata da legami troppo stretti con i grandi interessi privati, che non ha saputo imporre regole adeguate al sistema dei mercati finanziari. Regole che avrebbero consentito di avere insieme una finanza competitiva e innovatrice — nella misura necessaria allo sviluppo dell'economia reale — con condizioni di stabilità e fiducia. Che avrebbero evitato le inefficienze e le ingiustizie connesse all'impegno di risorse pubbliche cui il Tesoro degli Stati Uniti è stato ora costretto.
Confondere le idee può essere pericoloso in un Paese come il nostro, che con le regole non ha mai avuto un rapporto facile, in cui i rapporti tra politica e affari sono sempre stati assai stretti, in cui lo stesso capitalismo privato, nei suoi piani alti, è largamente un capitalismo di relazione, non di mercato. Un Paese in cui il conflitto di interessi è ancor più endemico, direbbe Guido Rossi, che negli Stati Uniti. Un disegno di regolazione efficace è sicuramente un intervento pubblico, ma non è «più Stato» nello stesso senso in cui lo è pasticciare discrezionalmente con Alitalia. Anzi, è il suo esatto contrario: regole contro discrezionalità, distanza contro vicinanza con gli interessi privati, statualità contro politica. Di «più Stato» nel primo significato avremmo grande bisogno, soprattutto per tornare a crescere nel lungo periodo. In un Paese fermo, nel quale la politica deve dare l'impressione di fare qualcosa, e con effetti immediati, temo che sarà il secondo significato a prevalere.
25 settembre 2008
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