mercoledì 15 aprile 2009

IL PIL SULLA SCALA MERCALLI di Francesco Daveri e Antonio Savini 14.04.2009

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I terremoti sono eventi eccezionali e imprevedibili che però purtroppo si ripetono in luoghi e tempi diversi. I dati derivanti dalle sfortunate esperienze di tanti paesi del mondo ci mostrano che le conseguenze di un terremoto come quello abruzzese sulla crescita di lungo periodo sono negative e di entità non marginale. La buona qualità delle istituzioni di un paese è però in grado di attenuarne in modo significativo i costi sociali.

Il terremoto nella provincia dell’Aquila così come lo tsunami nell’Asia Sud-Orientale di qualche anno fa sono eventi catastrofici con enormi conseguenze individuali, sociali ed economiche.

CATASTROFI E CRESCITA ECONOMICA

In alcuni casi, negli anni successivi a questi episodi, l’economia locale si riprende: le popolazioni trovano la forza di reagire e di ricostruire le loro comunità e le loro economie come prima e meglio di prima. E’ avvenuto, ad esempio, nel Friuli. Ma non è sempre così. In molte zone del mondo, le catastrofi hanno portato con sé una marcata difficoltà di ricostruire le attività economiche precedenti e, a volte, il declino economico.
Se si guarda oltre le conseguenze dirette delle catastrofi, purtroppo inevitabilmente negative e luttuose, l’economia ci suggerisce che gli effetti economici di più lungo periodo delle catastrofi possono essere molto diversi. Una catastrofe naturale potrà produrre effetti positivi sulla capacità di crescita di una località se la distruzione del capitale causato dalla catastrofe riesce a creare nuove opportunità di investire in nuove attività più moderne e avanzate rispetto a quelle preesistenti. Inoltre, almeno durante la ricostruzione, si verifica solitamente un eccezionale afflusso di risorse esterne – di capitale fisico, finanziario e umano – che se impiegate efficientemente possono accrescere le possibilità locali di investimento. Tenderanno invece a prevalere gli effetti negativi se le risorse finanziarie necessarie alla ricostruzione sono insufficienti a finanziare la realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali richiesti per ricominciare a crescere oppure se gli aiuti predisposti non si aggiungono alle risorse di risparmio e di investimento già eventualmente presenti.

LA PAROLA AI DATI

Per capirne di più, nell’ambito di un progetto di ricerca in corso, abbiamo usato i dati del CRED (Center for the Research on the Epidemiology of Disasters) dell’Università di Lovanio (1). relativi alle catastrofi avvenute in novanta paesi in un lungo periodo di tempo e cioè durante i trenta anni compresi tra il 1970 e il 2000. Dai dati del CRED emerge che le catastrofi si sono più che raddoppiate nei trenta anni tra il 1970 e il 2000. Negli anni ’70 il totale dei disastri registrati fu pari a 75, per poi salire a 135 negli anni ottanta fino ai 180 disastri degli anni novanta.
Nel tempo i disastri di natura geologica si sono “solo” raddoppiati, mentre i disastri di altro tipo, soprattutto quelli dovuti ad eventi climatici estremi, si sono invece quasi triplicati. Una parte di questo incremento può essere il risultato del miglioramento delle tecniche di raccolta dei dati nel corso del tempo: negli anni ’70 il monitoraggio di eventi di questo tipo era certamente più imperfetto di quello di oggi. Per molti studiosi, però, il rapido aumento dei disastri climatici è una riprova della nefasta influenza della crescita demografica e delle attività economiche umane sulla rischiosità dell’ambiente in cui viviamo. Senza entrare nel dibattito sul cambiamento climatico, rimane il fatto che le catastrofi sono presumibilmente aumentate e in misura notevole di numero nell’arco di trenta anni.
Quando si parla di eventi catastrofici, però, almeno una cosa non è determinata dalla natura e dall’ambiente e cioè il loro impatto socio-economico. Tra il 1980 e il 2000 l’India ha subito quattordici terremoti con 32 mila vittime. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, di terremoti ce ne sono stati ben diciotto: ma i morti sono stati solo 143. E, infatti, l’analisi statistica indica che la percentuale delle persone coinvolte da una catastrofe non dipende solo dall’entità dei disastri e di altre variabili geografiche e naturali ma anche e soprattutto del reddito pro-capite e del livello di istruzione dei paesi in cui il disastro ha luogo. Le nostre stime mostrano che, in presenza di redditi pro-capite più elevati del 10%, il numero dei coinvolti per milione di abitanti è più basso del 7.5% (2). Probabilmente perché la densità della popolazione nelle zone urbane è tipicamente più alta in un paese povero che in un paese ricco (le bidonvilles fanno pensare a San Paolo o a Mumbai più che a Roma o Washington). Ma soprattutto perché in una località con un reddito pro-capite più elevato (la California o il Giappone) le case stanno in piedi meglio che in una zona con un reddito più basso (l’Abruzzo). Più in generale, come indicato da Matthew Kahn in un lavoro di qualche anno fa, (3) paesi caratterizzati da una migliore qualità delle istituzioni e del decision-making pubblico sono riusciti a ridurre sensibilmente il “conto sociale” delle catastrofi. Il che non sorprende: la presenza di istituzioni corrotte è ovviamente associata con il mancato rispetto dei vincoli e della legislazione edilizia, così come con una pessima qualità delle strutture e delle infrastrutture abitative.

L'IMPATTO SUL PIL

Una volta quantificata la relazione tra le variabili geografiche, naturali e sociali che descrivono una catastrofe e il suo impatto sociale, si può poi valutarne l’effetto sulla crescita economica. La nostra analisi indica che, al crescere del numero di persone coinvolte (per milione di abitanti), la crescita del Pil pro-capite del paese si riduce di 0,0003 punti percentuali all’anno. Può sembrare un numero piccolo ma non lo è. Se gli sfollati abruzzesi sono 30 mila (cioè circa 500 per milione di italiani), la crescita del Pil italiano potrebbe ridursi di circa 0.15 punti percentuali all’anno (gradualmente a calare verso zero). Su un orizzonte di dieci anni, -0,15 punti percentuali l’anno significa una riduzione di circa un punto e mezzo di Pil. (4).
I terremoti sono eventi eccezionali e imprevedibili che però purtroppo si ripetono in luoghi e tempi diversi e non periodici. E’ comunque possibile studiare le caratteristiche medie dei loro effetti economico-sociali per provare a descrivere gli scenari futuri. I dati derivanti dalle sfortunate esperienze di tanti paesi del mondo ci mostrano che le conseguenze di un terremoto come quello abruzzese sulla crescita economica potenziale di lungo periodo sono negative e di non piccola entità. La buona qualità delle istituzioni di un paese è però in grado di attenuarne in modo significativo i costi sociali.



(1) Il CRED (www.cred.be/emdat) definisce “disastro naturale” un evento o una situazione che non può essere gestita localmente ma richiede un intervento esterno, nazionale o internazionale, o che è riconosciuto come tale da un’istituzione internazionale, da un paese o dai media e che chiama in causa (1) almeno 10 morti, (2) 100 o più persone che hanno richiesto assistenza, (3a) la dichiarazione dello stato di emergenza oppure (3b) una richiesta di aiuti internazionali.
(2) L’equazione stimata da cui sono derivati i parametri riportati è la seguente: [log(1+COINVOLTI)] = 8.4 - 0.75 log(reddito procapite1970) -0.09 log(iscritti secondaria1970) + 1.01 log(numero disastri)+ variabili geografiche. R2=.66, numero osservazioni =90. COINVOLTI è il numero delle persone coinvolte nella catastrofe per milione di abitanti.
(3)Matthew E. Kahn, “The death toll from natural disasters: the role of income, geography and institutions”, The Review of Economics and Statistics, 271-284, 2005.
(4) L’equazione stimata per il tasso di crescita è la seguente: crescita(PILpc) = .051 -.007 log(PILPc,1970) + .003*log(iscritti secondaria1970) + .11 (Inv/Pil) - .001 (spesa pubblica/Pil) + .009 (grado di apertura) - .0003 log(1+COINVOLTI).

Foto: fonte ministero degli Interni

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