Anche se il provvedimento varato dal governo italiano per la ricapitalizzazione delle banche è largamente condivisibile, resta sul tappeto il problema dell'eventuale salvataggio delle grandi banche transnazionali europee. Che hanno un ruolo chiave sia nell'integrazione dei mercati finanziari europei che nella loro stabilità sistemica. La Bce ha affrontato bene uno dei due aspetti della crisi, il problema di liquidità. In Europa manca però una istituzione che possa mettere in atto una risposta organica. Così dopo il fallimento dell'Ecofin, i paesi membri procedono in ordine sparso. Ma la definizione di regole condivise è questione non più eludibile.
Negli ultimi due mesi la crisi finanziaria è entrata in una nuova fase, molto più critica, che mette alla prova la stabilità di sistema dei mercati creditizi in tutto il mondo. Una tra le più importanti banche di investimento degli Stati Uniti, Lehman Brothers è fallita, mentre Goldman Sachs e Morgan Stanley si sono trasformate in banche commerciali, per mettersi sotto l'ombrello protettivo della Fed. Due delle più grandi compagnie di assicurazione del mondo, Aig negli Stati Uniti e Fortis in Europa, sono state nazionalizzate. Il Fondo monetario internazionale stima per il momento in 1400 miliardi di dollari la somma totale delle perdite su mutui ipotecari, prestiti per immobili commerciali, credito al consumo e alle imprese, e sui titoli legati a tutti questi prestiti. E ormai non passa un giorno senza che un governo europeo annunci il salvataggio o la nazionalizzazione di una banca.
CRISI DI LIQUIDITÀ E DI SOLVIBILITÀ
Inizialmente la reazione delle autorità di politica economica alla crisi, dall'estate 2007 alla primavera 2008, si è basata sull'idea che questa fosse essenzialmente una crisi di liquidità. Ma ormai è evidente a tutti che alla radice della crisi c’è un grave problema di solvibilità, e non solo una carenza di liquidità. L'attuale ondata di salvataggi di banche europee ha messo in luce che il problema della solvibilità riguarda in pari misura entrambe le sponde dell'Atlantico. Ciò non toglie nulla al ruolo vitale delle banche centrali quali fornitrici di liquidità: poiché il mercato monetario è congelato, le banche centrali sono tornate a essere “il prestatore di unica istanza”, come titolava il Financial Times in questi giorni. Ma è chiaro che le banche centrali non possono affrontare il problema da sole. Anzi, c'è il pericolo che inondando il mercato di liquidità si conceda alle banche insolventi di prolungare la propria attività, oltre a salvare quelle solvibili dalla carenza di liquidità.
Per affrontare seriamente la crisi di solvibilità devono intervenire i governi, e infatti stanno intervenendo: Senato e Congresso degli Stati Uniti hanno approvato il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari proposto dall'amministrazione Bush; i governi europei hanno iniziato ad andare in soccorso di banche e compagnie assicurative. Anche se il piano Usa non è ancora del tutto definito, e rimangono incertezze di primaria importanza sulla identificazione dei prezzi da pagare per ricomprare dalle banche prestiti e attività problematiche (se troppo bassi non si riuscirà a risolvere il problema delle liquidazioni di prestiti e obbligazioni a prezzi stracciati; se troppi alti si rischia di far sopravvivere banche insolventi a spese dei contribuenti) il piano ha un grande vantaggio: è un tentativo non-episodico e strutturato per affrontare il problema della solvibilità delle istituzioni finanziarie.
E IN EUROPA?
Sfortunatamente, dall'Europa non arriva una risposta altrettanto organica: la Bce si è dimostrata capace di affrontare rapidamente ed efficacemente un aspetto della crisi, quello della liquidità, e i governi nazionali stanno facendo del proprio meglio per predisporre piani di ricapitalizzazione delle banche nazionali, ma con modalità diverse da paese a paese. Va dato atto al governo italiano di aver annunciato un piano le cui linee guida appaiono ben congegnate, in particolare su tre fronti: 1) gli interventi avverranno con la sottoscrizione di azioni privilegiate senza diritto di voto, rassicurando sul punto che lo scopo, come ha pubblicamente annunciato il ministro del Tesoro, è quello di fornire capitale alle banche, senza interferire con la loro gestione; 2) gli eventuali interventi di ricapitalizzazione delle banche da parte dello Stato avranno natura temporanea; 3) le decisioni sugli interventi saranno affidate alla Banca d’Italia, che ha la competenza che serve per evitare che si sprechino soldi dei contribuenti in salvataggi di banche insolvibili e l’indipendenza necessaria per evitare che gli appetiti della politica traggano vantaggio dalla temporanea debolezza delle banche solvibili. A essa andrebbe affidato in via esclusiva anche il compito di decidere, qualora necessario, cambi di management di banche da salvare. Questi aspetti, congiuntamente, offrono una certa garanzia che la gestione della crisi non rappresenti una occasione per riportare le banche italiane sotto il controllo statale.
Resta però il fatto che in Europa non c'è nessuna istituzione che possa mettere in atto un programma di salvataggio globale come quello varato negli Stati Uniti. I governi nazionali non possono fare di meglio che affrontare la crisi a livello nazionale, mentre la sua portata supera di gran lunga i loro confini. Il problema emerge ovviamente nel caso delle grandi banche che hanno importanti attività transfrontaliere. Lo si è visto bene nel caso del salvataggio del gruppo bancario-assicurativo belga-olandese Fortis, proprietario dell'importante banca olandese Abn-Amro. In un primo tempo, i governi di Olanda, Belgio e Lussemburgo avevano concordato di acquistare ciascuno il 49 per cento della filiale della banca nel proprio paese. Poi però il governo olandese ha deciso di stracciare l’accordo e acquisire tutte le operazioni di Fortis in Olanda, nazionalizzando così la parte olandese della società. Il Lussemburgo ha deciso di fare altrettanto per la parte entro i suoi confini nazionali, mentre il Belgio è andato avanti con l’acquisto del 49 per cento della controllata belga. Il gruppo Fortis è stato così diviso a forza, lungo le linee dei confini nazionali, da piani diversi e separati di salvataggio dei tre governi.
Un altro esempio è stata la decisione di procedere all’estensione delle garanzie pubbliche sui depositi: su questo fronte, l’Irlanda ha inopinatamente varato per prima un provvedimento di garanzia dell'intero ammontare dei depositi bancari, con effetti potenzialmente destabilizzanti per gli altri paesi europei, che a questo punto si sono affrettati a seguire l’esempio irlandese, procedendo in ordine sparso.
Tutto ciò evidenzia come i governi europei siano stati finora incapaci di offrire una risposta coordinata al problema della solvibilità. Nonostante la promesse di un maggiore coordinamento in futuro, resta il fatto che l'Europa non ha un’istituzione unica, capace di assicurare la ricapitalizzazione delle grandi banche che operano in più paesi europei e che si trovino a fronteggiare serie difficoltà. Finora per fortuna nessuna di queste banche ha avuto bisogno di essere ricapitalizzata con soldi pubblici. Ma se dovesse accadere, i limiti della risposta europea diverrebbero tragicamente evidenti, e la tragedia potrebbe essere dietro l’angolo.
Tuttavia, la crisi potrebbe costringere i governi a riconoscere che la struttura europea, in questo suo attuale stadio incompleto, è in una situazione potenzialmente instabile. Abbiamo creato un'area monetaria unificata e un mercato finanziario integrato, nel quale le operazioni dei principali attori ovviamente trascendono i confini nazionali. Non abbiamo però completato la costruzione con i suoi naturali contrappesi: un’autorità di vigilanza europea per sorvegliare i rischi assunti da operatori così importanti; un sistema di assicurazione dei depositi omogeneo; una procedura di decisione rapida per affrontare l’eventuale insolvenza di una grande banca, capace di minacciare la stabilità dei mercati finanziari europei, e delle regole condivise per suddividere tra gli Stati il peso del suo salvataggio.
Costruire queste regole non è compito facile. Il loro disegno avrà importanti implicazioni sugli incentivi dei manager bancari e dei regolatori, così come dei contribuenti. Tuttavia, per quanto spinoso, il problema non può più essere eluso. Per l'Europa la lezione più importante della crisi è questa: rimanere fermi dove siamo, in mezzo al guado, è molto pericoloso. Ma proprio perché la situazione attuale mette concretamente a rischio il sistema bancario europeo, può essere l'occasione per garantire all'Europa una integrazione finanziaria fondata su basi molto più solide di quelle attuali. Ma si comprenderà in tempo la lezione?
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