mercoledì 25 febbraio 2009

COME SALVARE LE BANCHE * di Ricardo Caballero 24.02.2009


La soluzione della crisi non passa attraverso la nazionalizzazione delle banche. Anzi, molto probabilmente sarebbe una scelta controproducente. Cosa fare allora? Lo Stato si impegni ad acquistare fino al doppio del numero di azioni oggi in circolazione al doppio del loro recente prezzo medio, ma fra cinque anni. Un improbabile intervento futuro con un impatto immediato. Si invertirebbero le dinamiche negative dei mercati azionari e le banche potrebbero tornare a raccogliere capitale privato. Senza costi per il contribuente.

Ecco una proposta “semplice”. Lo Stato si impegna ad acquistare fino al doppio del numero di azioni oggi in circolazione al doppio del loro recente prezzo medio, ma fra cinque anni. (Naturalmente, i numeri che ho citato sono solo indicativi).
Il provvedimento prefigura interventi futuri (e improbabili), ma il suo impatto immediato sarebbe enorme. In particolare, invertirebbe le dinamiche negative dei mercati azionari e permetterebbe alle banche di raccogliere capitale privato.
L'effetto più diretto sarebbe un incremento superiore al 100 per cento del prezzo delle azioni delle banche, perché l'impegno preso fissa un limite minimo sui prezzi tra cinque anni, ma il potenziale di rialzo è enorme una volta superato l'ostacolo della crisi. Acquistare azioni di queste banche sarebbe come acquistare buoni del Tesoro più una “call option” al rialzo. E il rialzo si diffonderebbe immediatamente anche ai corsi delle azioni delle attività non finanziarie. I consumatori, e in particolare i pensionati, vedrebbero ricostituita almeno in parte la loro ricchezza, le compagnie di assicurazione migliorare i loro bilanci, mentre verrebbero spazzati via i venditori allo scoperto e gli speculatori (come è stato fatto a Hong Kong nel 1997): avremmo messo le fondamenta per un circolo virtuoso.

SENZA COSTI PER IL CONTRIBUENTE

Il secondo effetto, che rafforza il primo, sarebbe la stabilizzazione del settore finanziario perché le banche ora disporrebbero delle condizioni necessarie per raccogliere capitale privato. Finora le banche non hanno cercato di farlo perché ai prezzi attuali avrebbe un effetto diluizione eccessivo. E anche i potenziali investitori non hanno interesse a investire capitali perché è grande il timore di ulteriori diluizioni, attraverso gli interventi statali o, ancor peggio, direttamente attraverso le nazionalizzazioni. Un impegno a sostenere i corsi azionari in futuro, invece della nazionalizzazione a breve termine, invertirebbe queste dinamiche negative e porterebbe a una rapida ricapitalizzazione del settore bancario.
E al contribuente quanto costerebbe tutto ciò? Probabilmente, niente. È molto improbabile che la crisi duri cinque anni, in particolare in presenza di una risposta energica della politica. Ed è probabile che cambi il valore di mercato delle azioni della maggior parte delle banche. Ho proposto di “raddoppiare i prezzi recenti” per ridurre l'effetto di shock, ma forse sarebbe meglio “quadruplicarli” e allungare il periodo a dieci anni.

DUE OBIETTIVI CHE SI POSSONO SEPARARE

I due obiettivi della proposta si possono raggiungere anche separatamente. Per esempio, se non piace l'idea di sollevare la borsa, ma interessa quella della ricapitalizzazione privata, si può modificare il meccanismo per garantire solo le nuove emissioni di azioni. Ciò permetterebbe alle banche di raccogliere capitale a prezzi ragionevoli e non a quelli odierni, di saldo, determinati dal panico. Non offrirebbe però garanzie agli attuali azionisti e quindi non produrrebbe alcun effetto boom sul mercato azionario.
Per esempio, supponiamo che dopo aver studiato i libri contabili di una banca, il governo decida che se si valutano le attività in modo corretto, invece che agli attuali prezzi di mercato, le azioni valgono cinque volte il valore di mercato di oggi, che è un dollaro. Il governo decide anche che per resistere a una catastrofe aggregata la banca ha bisogno di una ricapitalizzazione di 5 miliardi di dollari. Garantirà allora il nuovo capitale con opzioni put sufficienti a far sì che si voglia acquistare un miliardo di azioni a 5 dollari ciascuna. Ciò diluisce gli attuali azionisti, ma solo perché sono costretti a detenere una riserva di capitale per garantire l'elasticità di sistema contro la catastrofe, non per l'emissione forzata di azioni a prezzi determinati dal panico.
È possibile anche fare il contrario: sostenere semplicemente il mercato azionario, come ha fatto con successo Hong Kong nel 1997, senza però facilitare direttamente la ricapitalizzazione. Anche in questo caso, mi sembra necessario concentrarsi sulle principali istituzioni finanziarie e non sui mercati nel loro insieme. Per (almeno) tre ragioni.
Primo, le vendite a prezzo di realizzo sono concentrate su queste istituzioni da quando sono iniziate le ipotesi di nazionalizzazione e i problemi di liquidità hanno distrutto il valore delle azioni.
Secondo, è impossibile valutare i bilanci di un gran numero di società con la necessaria velocità, è meglio allora concentrarsi su quelle che hanno l'effetto sistemico più importante e procedere rapidamente.
Terzo, il debito pubblico va tenuto sotto controllo: concentrarsi sulle maggiori istituzioni finanziarie consentirà probabilmente di mantenere l'ipotetica passività pubblica sotto i 500 miliardi di dollari.
In ogni caso, l'ammontare complessivo dipende da quanto capitale è necessario a una banca per sopravvivere alla peggior catastrofe e da quale sarà il valore atteso delle sue azioni, una volta ricapitalizzata adeguatamente la banca.


* Il testo in lingua originale è pubblicato su Vox.
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